BY: Gianluca Zoino

Approfondimenti

Comments: Nessun commento

Il filo conduttore della teoria adleriana è la continua ricerca del senso dell’uomo, inteso come unità biologica, psicologica e sociale.
Adler sottolinea la sostanziale indivisibilità della personalità dell’individuo e l’integrazione dei diversi aspetti fisici e psichici. I valori, le mete, le motivazioni sono essenziali nel guidare le scelte e la vita del soggetto.
L’individuo viene considerato dal punto di vista della sua dimensione temporale: “…possiamo concepire ognuna delle manifestazioni vitali come il luogo di convergenza del passato, del presente e dell’avvenire….”

Nello specifico l’essere umano ha la particolarità di proiettarsi nel futuro costruendosi un piano di vita, che gli offre dei contorni generali che gli indicano una direzione verso cui guardare ed orientarsi. L’individuo elabora quindi una “mappa personale” di idee, impressioni, di opinioni e di interpretazioni; nella vita psichica tutto ha senso “come se” certi assiomi fossero veri, cioè veri ed evidenti per sé stessi.
Nell’ elaborazione del concetto di “come se” e del termine finzione Adler prese spunto nel 1911, anno in cui abbandonò il circolo psicoanalitico, dall’ opera di Hans Vahinger “Die Philosophie del Als Ob” (1911).
“Non ho difficoltà ad accettare le geniali concezioni di Vahinger, il quale sostiene che di fatto le idee tendono ad evolvere in finzioni (costruzioni non reali ma utili dal punto di vista pratico) ad ipotesi e infine a dogmi come espediente difensivo rispetto al proprio sentimento di inferiorità.” 
I valori e gli ideali sono per quest’ultimo finzioni che servono all’uomo per raggiungere i propri scopi e perseguire le proprie mete. La finzione è un modo non obiettivo di considerare sé stessi e il mondo.
La scelta di questo termine viene spiegato in questo modo da Vahinger:
“Fictio indica immediatamente l’attività del fingere, e quindi del costruire, formare, strutturare, elaborare, presentare, tecnicizzare, e così anche il rappresentarsi, il pensare, l’immaginare, il supporre, l’abbozzare, l’ideare, l’inventare. In seconda istanza, il termine connota anche il prodotto di queste attività, cioè la supposizione finta, l’invenzione, la creazione poetica, il caso inventato. Inoltre la caratteristica più rilevante di tutte le finzioni è costituita dal momento della libertà creativa.”
Le finzioni sono “idee comprendenti elementi inconsci che non hanno una controparte nella realtà, ma tuttavia svolgono l’utile funzione di metterci in condizione di fare i conti con essa in un modo migliore di quello che si sarebbe potuto fare diversamente”.

L’opera del 1912 “Il Temperamento Nervoso”, in cui Adler presenta la psicologia individuale (e in cui il concetto di finzione riveste un ruolo essenziale), viene introdotta da una citazione di Seneca : “Omnia ex opinione suspensa sunt” ( tutte le cose dipendono dall’interpretazione che se ne dà).
Le finzioni sono, infatti, immagini mentali autocostruite creativamente dall’individuo sulla base della sua storia personale.
Le finzioni assolvono una parte importante della vita psichica di ogni individuo, e il bambino se ne serve per entrare in contatto con il mondo esterno.
Nella crescita dell’infante oltre alla soddisfazione dei propri bisogni fisiologici, insorge la necessità di guadagnarsi un proprio posto nel mondo, partendo dalla costellazione famigliare. L’attività del bambino diviene più unificata a questo scopo, che rappresenta un punto fuori di sé verso cui tendono le sue energie e forze psichiche.
L’esistenza di ognuno si presenta fin dai suoi primi istanti come costellata da limiti, per cui la nostra struttura psichica funziona come un apparato di difesa e di attacco, per riuscire a soddisfare i nostri bisogni.
Il bambino cerca con le esperienze, perfezionando la sua memoria, attraverso attenzione e la percezione di gettare un ponte per superare le incertezze, verso un avvenire positivo. Tende quindi ad un punto, così che quando l’avrà raggiunto sarà più grande e forte, proiettando sé stesso nel futuro sotto i tratti dei propri genitori.
Più l’inferiorità è marcata, più sarà importante per il bambino dare un risultato pronunciato al punto fisso verso cui tende.
La finzione costituisce un mezzo, un artificio, del quale Il bambino si serve per liberarsi dal suo sentimento d’inferiorità. La sua funzione è quindi difensiva e compensatoria.
Nel caso in cui la privazione vissuta sia molto grande vissuta, l’aspirazione del bambino può diventare il tutto.
L’individuo non è solo in conflitto con le proprie dinamiche interne (come nell’ottica freudiana), ma è soprattutto proteso verso l’esterno, verso la propria integrazione con il mondo e le finzioni assumono un ruolo importante anche in questo senso. L’uomo, infatti, partendo dal linguaggio, vive in un modo di significati condivisi, che hanno senso, in quanto convenzioni, solo perché ci permettono di vivere e comunicare con gli altri. Per orientarsi al mondo ognuno di noi si costruisce la propria mappa di idee, di impressioni, di opinioni, di interpretazioni. Queste convenzioni devono essere condivise in un faticoso lavoro di formazione di un codice sovraindividuale negoziato dalla collettività, che diventa una “verità collettiva.”
Per Adler l’agire umano è regolato da una sorta di norma ideale, che diviene una verità assoluta e in cui l’anormalità è spiegabile come il grado di allontanamento da questa norma ideale. L’uomo, creandosi delle finzioni collettive condivise socialmente, può affrontare la propria vita in modo concreto.
Le finzioni sono comunque artifici della mente il cui scopo è quello di dare ordine alla complessità, separando il bene dal male e il giusto dall’ingiusto.
Il bambino, così come l’uomo nevrotico, mostra una forte tendenza alla separazione attraverso opposizioni inconciliabili, per diminuire l’ansia dovuta alla complessità dello stare al mondo.

Le finzioni sono presenti sia nella normalità psichica che nella patologia. Quando sono efficaci, sono finzioni adattabili alle condizioni della vita e sono dette positive o vitali. L’individuo, in questo caso, le usa come mezzo e se ne disfa appena non gli servono più.
Le finzioni negative sono fisse e non è accettabile per l’individuo cambiarle (vengono dette finzioni rafforzate o antisociali).
“La finzione rafforzata è una deviazione per eccesso dell’abituale fenomeno del “come se”, che riveste un carattere patologico e aumenta, in vario grado e con diverse modalità, la distanza dell’individuo dall’ambiente. Le finzioni rafforzate comportano un’alterazione del giudizio e devono essere dunque inquadrate fra i “sintomi” di un’affezione psichica. Un nevrotico elabora finzioni rafforzate e così pure lo psicotico ma, rispettivamente nell’uno e nell’altro, esistono notevoli differenze nel livello di autocritica.[…]
La nevrosi è una costruzione conflittuale, alimentata da finzioni rafforzate.
Il nevrotico pone l’accento sui suoi sintomi, ributtando su di essi tutte le sue forze, innalzando il proprio dramma al di sopra di tutti, assegnandoli quindi quel valore che gli è sempre stato negato. Il nevrotico non ha altra realtà che non la sua finzione e dà le spalle alla realtà vera.
Mentre l’individuo sano riesce a rivolgere l’attenzione anche agli altri, e quindi possiede un sentimento sociale, l’individuo nevrotico riesce ad avere preoccupazione solo per se stesso e per i propri sintomi.
Le finzioni, che rappresentano uno strumento, vengono abbandonate dalla persona sana quando non sono più utili e vengono sostituite in modo flessibile. Il nevrotico non possiede questa duttilità, si immedesima nella finzione. Lo psicotico invece prende la finzione per la realtà. L’uomo sano le utilizza come mezzo, l’individuo nevrotico vorrebbe materializzarle, lo psicotico le materializza.
Si può riportare, a titolo esemplificativo, il caso di due patologie che rappresentano il rafforzamento del “come se”. Nella fobia si possono ritrovare le finzioni più drastiche dei nevrotici. Il fobico prova angoscia davanti al pensiero di eventi che sono per lui tremendi, ma che sono improbabili, anche se il loro accadere non si può escludere. La logica comune in questo caso non viene meno, anche se è parzialmente intaccata.
Nel delirio, massimo rafforzamento del come se, il malato crede fermamente nell’assoluta verità delle sue convinzioni, che diventano realtà soggettiva.

Lo scopo della terapia adleriana è aiutare il paziente a capire il senso delle proprie finzioni, così che egli possa passare da una condizione cristallizzata in cui le finzioni vengono utilizzate in modo rafforzato, ad una condizione di maggiore duttilità psichica che permette all’individuo di abbandonare, nel momento in cui non gli siano più convenienti, alcuni tipi di finzioni, per passare ad altre più funzionali alla realtà psichica di quel particolare momento.
La terapia si pone come uno degli scopi lo smantellamento delle finzioni, in un processo che deve però essere necessariamente graduale. Il disvelamento delle finzioni deve essere accompagnato dall’incoraggiamento. Grazie al rapporto terapeutico, il paziente prende maggiore coscienza del proprio del proprio funzionamento psichico e delle proprie mete.

L’individuo prova nel “come se” un sentimento spiacevole, per cui può essere facilmente compresa la tendenza dell’individuo, secondo la visione di Vahinger, a mutare ogni ipotesi in dogma. Per ovviare all’ambiguità o all’incertezza ci si rifugia nel letteralismo, nella separazione per opposti inconciliabili, in pensiero antitetico. Hillman (1983) chiarisce in questo modo il concetto di letteralismo delle finzioni: “Ma allora, se il passaggio dalla salute alla malattia mentale si distingue per i gradi di letteralismo, ciò significa che la strada terapeutica, per tornare dalla psicosi alla salute mentale, è quella di ripercorrere all’indietro lo stesso passaggio ermeneutica: la deletteralizzazione. Per essere sani mentalmente dobbiamo riconoscere come finzioni le nostre convinzioni, e guardare in trasparenza come fantasie le nostre ipotesi. La differenza tra salute mentale e psicosi non dipende, infatti, dalla società o dalla politica, dall’’educazione o dalla chimica, dipende interamente dal nostro senso della finzione. Ma non basta: anche il prendere alla lettera una qualsiasi delle ipotesi, l’educazione o la chimica, la società o la politica, come fosse l’effettiva verità e la ragione della malattia mentale, è in sé malattia mentale, questa volta in forma di una finzione esplicita presa alla lettera anziché in modo euristico.”

La terapia è un grande lavoro di deletteralizzazione; attraverso questo processo le mete delle terapia possono essere viste come finzioni-guida che orientano l’individuo verso la maturità e il completamento di sé: “…questa è la terapia delle prospettive. Le mete dello spirito non diventano dunque illusioni che devono essere cinicamente minimizzate perché sono “soltanto” finzioni. Semplicemente, non le ascoltiamo nei loro termini letterali, come mete e verità. Come prospettive “funzionali” o come fantasie esse sono utili e feconde, poiché il valore di una consiste nel fatto che essa è “un errore consapevole, pratico, utile”.

BIBLIOGRAFIA

ADLER A. (1912), Il Temperamento Nervoso, Casa Editrice Astrolabio, Roma
ADLER A. (1924), Prassi e Teoria della Psicologia Individuale, Casa Editrice Astrolabio, Roma.
ANSBACHER H., ANSBACHER R. (1956), La psicologia individuale di Alfred Adler, Martinelli, Firenze.
ELLENBERGER H.F. (1970), La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica, Bollati Boringhieri, Torino.
HILLMAN J. (1983), Le storie che curano, Raffaello Cortina Editore, Milano.
S.A.I.G.A., Dispense, materiale e appunti delle lezioni.

.