BY: laura
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CORSO DI TRAINING AUTOGENO
CORSO DI TRAINING AUTOGENO IN PARTENZA il 26 Ottobre 2024
MODALITA’ IN PRESENZA o ONLINE
LA MIA ESPERIENZA COME DOCENTE DI TRAINING AUTOGENO
Dal 2006 mi occupo di training autogeno, dopo un corso di formazione
teorico pratico di mesi presso un docente riconosciuto. Sono partita
organizzando gruppi in palestre, sale, associazioni, collezionando
un’esperienza che poi nel tempo mi ha permesso di lavorare sempre di
più anche con i pazienti in individuale o piccolo gruppo nel mio studio,
con problematiche specifiche di insonnia, attacchi di panico, fobie,
problemi di concentrazione ecc.
Negli ultimi anni ho maturato esperienza anche nell’insegnare il training
autogeno online.
IL TRAINING AUTOGENO
Il Training Autogeno è una tecnica di rilassamento psicofisico basata
sull’auto distensione ideata dal medico J. H. Schultz. Prevede l’esercizio
della concentrazione mentale e fisica (concentrazione psichica passiva)
mediante l’apprendimento per condizionamento, graduale,dei 6 di
esercizi (calma, pesantezza, calore, cuore, respiro, plesso solare, fronte
fresca) che ripercorrono le fasi del rilassamento fisico, del legame mente
e corpo, della lucidità. La metodologia sostiene la naturale tendenza del
nostro organismo ( psiche- soma) all’autoregolazione.
È uno strumento psicologico molto applicato sia in ambito clinico sia non
clinico (scuola, lavoro, sport), che favorisce il ritorno dell’equilibrio
psicofisico e il raggiungimento di uno stato di calma e di benessere.
A CHI E’ RIVOLTO:
● tutti coloro che sentono il bisogno di dedicare del tempo a
prendersi cura di sè, che non riescono a dedicarsi degli spazi o
che non riescono a ritrovare un equilibrio.
● alle persone che sentono il bisogno di trovare una migliore
comunicazione tra la mente e il corpo.
● a chi ha bisogno di acquisire uno strumento utile a gestire ansia,
stress, insonnia e irritabilità o rabbia.
● a chi va a scuola o deve sostenere esami, allo sportivo o a che ha
bisogno di avere sempre ottime prestazioni lavorative,per i suoi
benefici sulle capacità concentrative, mnesiche e attentive.
QUALI SONO GLI OBIETTIVI
● gestire ansia e stress nella quotidianità;
● raggiungere uno stato di equilibrio e di autoregolazione,
● migliorare l’attenzione, la concentrazione, la memoria
● ridurre le tensioni fisiche e promuovere una maggiore
consapevolezza corporea;
● potenziare le proprie risorse a recuperare le energie psicofisiche;
● migliorare le prestazioni lavorative, scolastiche e sportive;
● combattere i disturbi psicosomatici correlati allo stress (cefalee
muscolo tensive, mal di pancia da stress)
● Migliorare la qualità del sonno.
COME SI ARTICOLA IL CORSO
Il corso (strutturato in 6 incontri) consiste nell’apprendimento progressivo
della serie degli esercizi specifici che compongono la sequenza del TA.
In ogni sessione verrà insegnato e fatto sperimentare ai partecipanti un
esercizio.
PRIMO INCONTRO: esercizio della Pesantezza corporea
SECONDO INCONTRO: esercizio del Calore
TERZO INCONTRO: esercizio del Cuore
QUARTO INCONTRO: esercizio del Respiro
QUINTO INCONTRO: esercizio del Plesso Solare
SESTO INCONTRO: esercizio della Fronte Fresca
E’ molto importante che le persone si allenino con costanza a casa tra
un incontro e l’altro, nelle modalità che verranno insegnate nel percorso.
Il primo incontro verrà spiegato come esercitarsi e quali accortezza
tenere. Al termine di ciascun incontro verrà consegnata ai corsisti una
dispensa utile per effettuare la pratica a casa. La dispensa conterrà
anche delle indicazioni specifiche su ogni obiettivo su cui si focalizza.
I partecipanti saranno invitati a compilare un protocollo in cui annotare
gli effetti del TA, le sensazioni particolari . Ogni partecipante sarà seguito
individualmente via mail perchè è molto importante che il percorso sia il
più personalizzato possibile.Il gruppo aiuta per tenere alta la
motivazione, per il confronto.
MODALITA’ in presenza
CALENDARIO
sabato 26 ottobre 2024 dalle 17e30 alle 18e30
sabato 9 novembre dalle 17e30 alle 18e30
sabato 16 novembre dalle 17e30 alle 18e30
sabato 30 novembre dalle 17e30 alle 18e30
sabato 14 dicembre dalle 17e30 alle 18e30
sabato 11 gennaio 2025 dalle 17e30 alle 18e30
Sede: Via Degli Artisti 20 Torino
Info: 3495135800
MODALITA’ ONLINE
Calendario:
Il corso online si effettuerà sia nelle stesse date previste nel il corso il
presenza (ma dalle 16 alle 17), che in altre date al raggiungimento di un
numero minimo di partecipanti. Per il corso online verranno date delle
indicazioni su come seguire il corso e come fare la pratica degli esercizi
insieme al gruppo ma ognuno da casa propria. Chi desidera fare il corso
in modalità online è importante che specifichi un orario in cui
partecipare.
sabato 26 ottobre 2024 dalle 16 alle 17
sabato 9 novembre dalle 16 alle 17
sabato 16 novembre dalle 16 alle 17
sabato 30 novembre dalle 16 alle 17
sabato 14 dicembre dalle 16 alle 17
sabato 11 gennaio 2025 dalle 16 alle 17
Sede: Online ZOOM
Info: 3495135800
BY: laura
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Gli effetti negativi dello stress sulla nostra mente: un’analisi psicologica
In qualità di psicoterapeuta , ho frequentemente osservato come lo stress, sebbene sia una risposta naturale e spesso utile alla sopravvivenza, può trasformarsi in un’insidia per il benessere mentale quando diventa cronico.
In primo luogo, vediamo cosa intendiamo per stress: si tratta di una risposta fisiologica e psicologica che si verifica quando una persona percepisce un disaccordo tra le richieste dell’ambiente e le proprie risorse personali per affrontarle. In breve, è la reazione del corpo e della mente a ogni tipo di sfida o richiesta.
Gli effetti negativi dello stress sulla nostra mente sono molteplici e, se non gestiti correttamente, possono portare a conseguenze importanti e durature.
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Cronicizzazione dei sintomi d’ansia
L’esposizione continua allo stress può innescare disturbi d’ansia o esacerbare condizioni psicologiche preesistenti. La costante sensazione di essere sopraffatti o inadeguati può sfociare nell’ansia cronica, con sintomi di sottofondo che accompagnano la quasi quotidianità dell’individuo.
-
Depressione e disforia
Un’esposizione prolungata a livelli elevati di stress può anche aumentare il rischio di sviluppare depressione. La sensazione di impotenza, un sintomo comune della depressione, è spesso aggravata da stress persistenti che minano la fiducia nelle proprie capacità di affrontare le difficoltà.
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Effetti cognitivi
Lo stress cronico può altresì compromettere le funzioni cognitive. Dalla difficoltà di concentrazione fino alla memoria a breve termine, gli impatti sono tangibili. Studi scientifici hanno mostrato come l’ormone dello stress, il cortisolo, in eccesso possa avere un effetto tossico sull’ippocampo, una regione del cervello fondamentale per l’apprendimento e la memoria.
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Alterazioni del tono dell’umore
Fluttuazioni dell’umore sono comuni tra coloro che subiscono stress cronico, con possibili oscillazioni tra irritabilità, frustrazione e apatia. Queste variazioni possono incidere negativamente sulle relazioni interpersonali e sull’equilibrio emotivo dell’individuo.
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Burnout
Uno dei fenomeni più preoccupanti legato allo stress lavorativo è il burnout, ovvero una condizione di esaurimento fisico e mentale. Tale sindrome comprende sintomi come esaurimento emotivo, cinismo e ridotta realizzazione personale.
Come psicologi, il nostro ruolo è di fornire gli strumenti per riconoscere e contrastare gli effetti dannosi dello stress. Tecniche di rilassamento e gestione dello stress, interventi terapeutici di psicoterapia psicodinamica possono aiutare a gestire lo stress.
È fondamentale promuovere una cultura del benessere che riconosca lo stress non come segno di debolezza, ma come segnale che necessita attenzione e cura. Prevenire significa agire prima che lo stress causi danni a lungo termine alla nostra salute mentale; significa intervenire nella propria vita quotidiana con quei cambiamenti nel lifestyle e nella gestione del tempo e delle priorità che possono realmente fare la differenza.
In conclusione, radicandoci nella consapevolezza che lo stress può essere gestito e limitato, possiamo non solo migliorare la qualità della nostra vita, ma anche riscoprire il piacere di vivere appieno ogni singolo momento.
Dott.ssa Laura Rivoiro, Psicologa, Psicoterapeuta, Ipnologa e Terapeuta EMDR
BY: laura
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La difficoltà di perdonare i nostri genitori
Il vocabolario della lingua italiana suggerisce che perdonare è “non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi rivalsa, e annullando con sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno”.
A tutti può capitare di subire un danno e faticare a perdonare qualcuno, anche se il perdono è molto importante per superare una situazione dolorosa, rendendoci liberi di vivere al meglio la nostra vita. Altrimenti si rimane nel rancore e legati ad una situazione che fa soffrire. Bisogna sottolineare che più grande è l’affronto, più grande è il dolore, più vicina è la persona, più difficile diventa perdonare. Farlo con un padre o una madre che ci hanno fatto del male può essere un compito arduo, che costringe ad affrontare le nostre ombre.
Il rapporto con i genitori, l’educazione da essi ricevuta, segna per sempre la vita dei figli, il modo in cui i bambini sono trattati da piccoli influenza le loro personalità, plasmando i sogni e le paure. Nella memoria di molti è impressa la serenità e il benessere dell’essere accompagnati per tutta la vita dai genitori. Da loro si è ricevuto amore, sostegno, sono stati vicini nei momenti significativi della vita. Questo però è solo un lato della medaglia, perché anche i genitori che sono stati buoni in generale, si sono trasformati a volte in una fonte di dolore, magari a causa della loro poca disponibilità, della loro distanza fisica ed emotiva. Molte persone, pur avendo vissuto esperienze molto dolorose con il padre e con la madre, faticano a riconoscerlo e alcuni fanno addirittura di tutto per nascondere i sentimenti ambivalenti.
Anche se di solito i ricordi di infanzia assumono colorazioni cariche di calore e affetto, non è sempre un periodo cosi roseo. Alcune modalità di rapporto famigliare possono influire decisamente nel corso della vita:
- – L’iperprotezione genitoriale, può impedire ai figli di fare esperienze, di prendere decisioni, li spinge verso un percorso che non avrebbero scelto liberamente, influenzandoli nelle insicurezze, nelle paure e forse facendoli diventare adulti fragili.
- – Alcuni genitori possono essere emotivamente instabili e possono trattare i figli in modo ingiusto, riversando su loro insoddisfazione, frustrazione e rabbia, umiliandoli o maltrattandoli fisicamente e psicologicamente.
- – Molte famiglie vivono situazioni dolorose che generano grande sofferenza, soprattutto nei bambini, che sono i più vulnerabili.
Perché perdonare un padre o una madre è così difficile?
- La forte impronta emotiva che generano le tematiche famigliari. Può essere difficile elaborare tutte esperienze dolorose di anni, per questo motivo il ricordo genera frustrazione, rabbia, risentimento e in alcuni casi odio.
- Le aspettative ed illusioni. A volte, ci si aspetta ancora che quel padre o quella madre cambino e diano l’amore, il sostegno e la comprensione che ci sono mancati così tanto. Perdonarli significherebbe praticamente rinunciare a quell’illusione.
- Il senso di giustizia. Alcune persone pensano che perdonando i loro genitori, permettono loro di farla franca senza comprendere gli errori e senza dover rimediare ad essi.
Per maturare ed evolvere bisogna potersi allontanare dall’offesa. Non si può essere in pace con sé stessi mentre si è in guerra con il padre o con la madre. Questa consapevolezza è il primo passo per avere delle buone ragioni per iniziare un processo di perdono, che è innanzitutto un’elaborazione psicologica, che presuppone anche il cambiamento di meccanismi di difesa profondi.
Imparare a tollerare l’ambivalenza nei confronti dei genitori
E’ molto difficile tollerare in noi, insieme all’amore e alla gratitudine , il risentimento e la delusione che si può provare per loro.Per amarli e perdonarli davvero ci si deve confrontare con loro per quello che sono veramente stati, con i loro meriti e le loro mancanze, facendo affiorare la varietà dei sentimenti, positivi e negativi, che si provano. Quando non si riesce a riconoscere questa complessità si rischia di non riuscire ad avere un rapporto autentico con loro, e inoltre dinamica si può rivolgere anche alle altre persone, Instaurando dei meccanismi di diniego e scissione con chiunque. Nel diniego vi è un’esclusione involontaria ed automatica dalla propria consapevolezza rispetto ad un certo aspetto disturbante della realtà. La scissione, invece, è un meccanismo di difesa che consiste nello “scindere”, separare gli aspetti contraddittori, ma conviventi, dell’oggetto o dell’Io. Amare qualcuno non significa idealizzarlo ma saper mettere insieme i suoi vari aspetti buoni e cattivi. In alcuni casi fare questo passo può essere particolarmente complicato. Immaginiamo ad esempio la difficoltà di mettere insieme nella mente un genitore che diventa violento quando è ubriaco, ma potrebbe essere adeguato quando è sobrio.
Dopo che si sono riconosciute le parti brutte dei nostri genitori (se prima si negavano alla consapevolezza) come si può proseguire nel perdonare? Dopo che si è imparato a tollerare l’ambivalenza nella nostra immagine interiore di loro? Quando si sono abbandonati i meccanismi della scissione e il diniego, questa realtà tragica, come si può utilizzare?
– Fermarsi a comprendere la storia dei genitori, la motivazione dei loro sbagli e delle loro difficoltà, vedendosi inseriti in un quadro di trasmissione famigliare complesso, che comprende nostro padre, nostra madre e le generazioni precedenti.
Il cammino faticoso della consapevolezza passa attraverso tutti gli elementi positivi e negativi che vengono trasmessi in famiglia. Da una generazione all’altra possono passare traumi, conflitti, gravi vissuti famigliari. Ragionare in questo modo non annulla la responsabilità dei singoli (ad esempio non vuol dire giustificare un genitore maltrattante) ma permette di comprendere meglio il contesto in cui una persona nasce e cresce. Pensare che le sofferenze che ci hanno inferto i nostri genitori forse derivano da qualcuno che sta più a monte di loro, in una storia in cui noi e la nostra famiglia siamo immersi e partecipi. Questa visione non annulla la rabbia, ma aiuta a guardare in modo più lucido alla situazione e a ridimensionare.
Quali sono i vantaggi del perdonare?
- – Non vuol dire dimenticare ma imparare a pensare meglio, nell’ottica della libertà anche di non riconciliarsi con chi ha offeso, ma bensì accettare ciò che è stato, senza che questo rappresenti una debolezza.
- – Perdonare è liberarsi di pesi che potrebbero gravare sulla qualità della vita
- – Il rancore ci sottrae l’entusiasmo, l’energia e la positività.
Il perdono è un processo, e anche se in alcuni casi può essere troppo difficoltoso perdonare del tutto l’altra persona, si può scaricare buona parte del risentimento per essere più leggeri e liberi.
Concludiamo l’articolo con le parole evocative di questa canzone, che con un’immagine forte fa riflettere sul tema del perdono e della complessità dei rapporti umani:
“Onora il padre, onora la madre e onora anche il loro bastone, bacia la mano che ruppe il tuo naso perché le chiedevi un boccone: quando a mio padre gli si fermò il cuore non ho provato dolore…. Ma adesso che viene la sera e il buio mi toglie il dolore dagli occhi e scivola il sole al di là delle dune a violentare altre notti: io nel vedere quest’uomo che muore, madre, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore”
(De Andrè, Il Testamento di Tito, 1970)
Libri consultati
BORGOGNO, F. (2007), The Vancouver Interview, Borla, Roma
CERATO, M. (2003), Emozioni e Sentimenti. Curare il cuore e la mente, Effatà Editrice, Cantalupa (TO)
CERATO, M. (2019), Ti perdono (Forse!), Effatà Editrice, Cantalupa (TO)
FERRO, A. (2007), Evitare le emozioni, vivere le emozioni, Raffaello Cortina, Milano
TUTU, D. (1999), Non c’è futuro senza perdono, trad.it. Feltrinelli, Milano 2001
BY: Gianluca Zoino
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Aspetti psicologici dello Smart Working
Nel 2020 in Italia c’è stato un passaggio importante allo smart working
In alcuni casi questo ha rappresentato una positiva scoperta o il consolidamento di un modo di lavorare più economico, più flessibile, più sostenibile
Per utillizzare al meglio questo strumento è essenziale che il clima aziendale rimanga positivo e crei sia il riconoscimento di una finalità comune e condivisa, che per il lavoratore può essere rappresentato dall’identificazione con l’azienda e benessere della stessa. Per far questo le problematiche vanno gestite in modo preciso, con una buona comunicazione.
Il passaggio allo smart working rende indispensabile una gestione non solo organizzativa ma anche emotiva.
Vantaggi dello smart working
- Minori spostamenti
- Maggiore flessibilità per il proprio ruolo in famiglia
- Possibilità di sfruttare meglio il proprio tempo libero
Svantaggi dello smart working
- Alterazione delle ore dedicate al sonno e al riposo
- Difficoltà nella distinzione tra ore lavorative e ore della propria vita privata
- Energie in esubero che si traducono in tensioni fisiche e mentali
- Perdita del senso del gruppo dovuto all’isolamento
Come posso migliorare la qualità della mia vita di smartworker?
- Migliorare la mia organizzazione dei tempi
- Lavorare sui miei vissuti e sulle mie emozioni
- Riflettere sul significato del cambiamento dei rapporti interpersonali e provare a migliorarne la qualità
- Prestare maggiore attenzione alla distinzione tra vita privata e vita lavorativa
- Chiedere l’aiuto di uno psicologo se sento la necessità di essere aiutato emotivamente
BY: Gianluca Zoino
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Come cambia in negativo la vita di una coppia quando arriva un figlio?
Quando arriva un figlio il rapporto con il partner può andare in crisi, anche se non ci si rende subito conto di quanto sta avvenendo. Soprattutto quando il figlio è molto piccolo le difficoltà si possono presentare in modo ancora più importante per la stanchezza e il grande impatto del cambiamento di vita
La madre si concentra molto sul figlio e in qualche modo trascura il compagno che piò sentirsi escluso e squalificato
Quando i figli sono più grandi invece si può avere la sindrome del nido vuoto. Focalizzare molto l’attenzione sulla coppia e vedersi nel futuro accanto al partner potrebbe facilitare questo processo.
Come superare questo momento di crisi:
- Saper chiedere aiuto
- Prendere delle decisioni in modo adeguato avendo un rapporto di reciproco rispetto
- Non cercare i colpevoli di fronte ai problemi
- Cercare momenti di solitudine anche all’interno del rapporto di coppia
- Prendersi cura anche dei rapporti fisici
Alcune coppie, dopo l’arrivo dei figli si trasformano e diventano soprattutto coppie genitoriali, unite cioè dall’obiettivo di crescere i figli e mandare avanti la famiglia, ma sono distanti sul piano più intimo e personale. In questi casi i figli anno da collante
Altri conflitti possono nascere da disaccordi sullo stile educativo dei figli, dall’ingerenza della famiglia di origine e la percezione di non ricevere sostegno dal partner
La coppia si deve ripensare, riconsiderare e riprogettare, è chiamata ad allargare lo spazio sia relazionale che fisico, che emotivo, passando da una relazione bidimensionale a una relazione tridimensionale.
E’ importante ritrovare un nuovo equlibrio, collegato alla variabile noi (energie messe in campo come coppia) piuttosto che alla variabile io.
L’equilibrio per definizione è un moto in continua oscillazione, una fluttuazione necessaria per il riassestamento
BY: Gianluca Zoino
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Il primo amore? un trauma
IL primo amore non si scorda mai, e questo perché con la prima ardente passione si attivano in maniera del tutto nuova i circuiti neuronali dell’ansia e della paura, provocando in noi una specie di trauma. Non solo: questa reazione biochimica è identica in tutte le culture e popolazioni, da quella europea a quella americana fino a quella cinese, dove i matrimoni sono combinati e l’innamoramento è per la società più un elemento distruttivo che costruttivo. Read More “Il primo amore? un trauma”
BY: Gianluca Zoino
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Perchè un adolescente o una giovane donna da cosi importanza al primo amore?
Anche se ci sono tantissime cose nuove da sperimentare nella vita, ci sono momenti così memorabili che, semplicemente, non si possono dimenticare. Il nostro primo amore, ad esempio.
È vero che l’amore è sempre speciale, ma il primo è un’esperienza unica, impossibile da dimenticare. Nel bene o nel male, la prima cotta risveglia in noi sentimenti nuovi. Quel rapporto, reale, bello o brutto che sia, è accompagnato da sensazioni di stupore, curiosità ed emozione verso ciò che non si conosce. Read More “Perchè un adolescente o una giovane donna da cosi importanza al primo amore?”
BY: Gianluca Zoino
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Aspetti psicologici dei primi amori
L’adolescente e i modi in cui si vive il primo amore
L’adolescenza è la fase della vita in cui si cerca l’amore con maggiore trasporto: ed è a quest’età che lo si scopre realmente. I primi amori vengono vissuti con intensità, pieni di idealizzazioni e con sofferenza per i momenti di crisi o per la fine del grande amore. L’innamoramento e l’amore favoriscono, a quest’età, l’approfondimento delle conoscenze su se stessi e sugli altri e lo sviluppo delle proprie potenzialità migliorando le relazioni con “l’altro sesso”. Inoltre l’innamoramento favorisce anche il processo di autonomia dai genitori e funge da riconciliatore con il mondo esterno.
Gli adulti spesso sottovalutano i sentimenti degli adolescenti, che invece vivono con grande serietà e profonda intensità i loro primi amori, preparandosi così a vivere quelli successivi. Infatti sono i primi amori carichi di entusiasmo e di speranze a influenzare il modo di vivere l’amore e la capacità di formare una coppia stabile in età adulta. Read More “Aspetti psicologici dei primi amori”
BY: Gianluca Zoino
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Il concetto di finzione
Il filo conduttore della teoria adleriana è la continua ricerca del senso dell’uomo, inteso come unità biologica, psicologica e sociale.
Adler sottolinea la sostanziale indivisibilità della personalità dell’individuo e l’integrazione dei diversi aspetti fisici e psichici. I valori, le mete, le motivazioni sono essenziali nel guidare le scelte e la vita del soggetto.
L’individuo viene considerato dal punto di vista della sua dimensione temporale: “…possiamo concepire ognuna delle manifestazioni vitali come il luogo di convergenza del passato, del presente e dell’avvenire….” Read More “Il concetto di finzione”
BY: Gianluca Zoino
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La violenza sulle donne
Riflessione sugli aspetti psicologici a partire dalla partecipazione al “Progetto Svolta Donna”
La violenza sulle donne è un fenomeno molto preoccupante, presente in modo trasversale, anche se in forme diverse, nei paesi industrializzati e in quelli in via di sviluppo, rappresentando un problema endemico.
Si citano alcuni dati tratti da una ricerca Istat condotta nel 2006 in Italia1 per favorire una conoscenza maggiore della diffusione del fenomeno.
Il campione considerato comprendeva 25 mila donne tra i 16 e i 70 anni intervistate su tutto il territorio nazionale dal Gennaio all’Ottobre del 2006 con una tecnica telefonica. I principali risultati di questa ricerca stimano in 6 milioni 743 mila le donne tra i 16 e i 60 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita (il 31,9% della classe di età considerata). 5 milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%).
Circa un milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). Il 14, 3% delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner. Il 24,7% delle donne ha subito violenze da un altro uomo. Mentre la violenza fisica è più frequentemente operata dal partner, l’inverso accade per la violenza sessuale, soprattutto per le molestie sessuali.
Approfondiamo il significato di alcuni termini legati alla violenza sulle donne.
Violenza viene intesa un’azione esercitata da un soggetto su un altro, in modo da determinarlo e agire contro la sua volontà. L’etimologia latina è dal verbo violo: violare, oltraggiare, far male, maltrattare. Violenza e maltrattamento sono sinonimi. Quando si parla di violenza sulle donne, si è soliti distinguere tre tipi diversi di violenza.
La violenza psicologica, in questo contesto, identifica quell’insieme di insulti, minacce verbali, intimidazioni, denigrazioni, svalutazioni, che un soggetto può esprimere nei confronti dell’altro nell’ambito di una relazione di coppia conflittuale.
La violenza fisica indica un passaggio all’atto di un impulso aggressivo eterodiretto, mentre la violenza sessuale indica il passaggio all’atto di un desiderio sessuale attraverso la costrizione, le minacce e i ricatti.
Le situazioni di violenza a cui si restringe maggiormente il campo sono quelle di due adulti, un uomo e una donna, che hanno o hanno avuto una relazione . In questo caso si potrà riflettere sulla situazione soggettiva che riguarda la donna e l’uomo, nonché sulle dinamiche relazionali.
Il termine maltrattamento infatti, come abbiamo visto, è sinonimo di violenza ed implica che la vittima, oltre ad essere costretta a fare delle cose contro la propria volontà, si trovi in uno stato di inferiorità da un punto di vista oggettivo o soggettivo.
Il maltrattamento è una dimostrazione di arroganza, prepotenza e violenza nei confronti di una o più persone soggettivamente od oggettivamente inferiori.
In cosa possiamo dire che un soggetto sia inferiore ad un altro, se stiamo parlando di due soggetti adulti?
Può esserlo fisicamente (più alto, più basso, più forte, più debole), può esserlo intellettivamente (come nel caso dei deficit mentali), oppure può esserlo soggettivamente, se si percepisce come mancante di qualche attributo, posseduto invece da altri.
L’inferiorità percepita soggettivamente potrebbe essere una delle spiegazioni del fatto che la maggior parte delle donne che subiscono violenza e maltrattamenti in ambito domestico permangono a lungo, talvolta per sempre, in questa situazione. L’inferiorità, per la donna maltrattata, può essere percepita come paura che il partner non la lascerà mai stare, che le farà pagare questo affronto, o che la ucciderà. Ci può essere invece una paura legata al non riuscire a “cavarsela” fuori da quel contesto domestico che l’ha vista sempre dipendente dal marito.
Fatta eccezione per le differenze oggettive e misurabili con scale di valutazione (rispetto alla forza fisica ad esempio), l’inferiorità tra adulti corrisponde ad una percezione distorta dell’Io e della propria immagine corporea.
Nel caso degli uomini maltrattanti, si potrebbe pensare che stanno spingendo le donne a percepirsi in una situazione di inferiorità oppure stanno provando la loro superiorità. Proponendo un paragone con i concetti Adleriani, che approfondiremo nel corso di questo lavoro, stanno esercitando la loro volontà di potenza, la loro protesta virile.
Nel paragrafo che segue si descriverà l’esperienza di un progetto di sostegno alle donne a cui ho collaborato, e che mi ha portato a voler approfondire alcuni aspetti del problema della violenza sulle donne, e a trarre delle considerazioni in merito.
Di seguito ci saranno due paragrafi sugli aspetti psicologici legati a questo fenomeno, e poi un paragrafo in cui viene riportato un colloquio con una donna all’interno del Progetto Svolta Donna, con alcuni riflessioni finali.
L’esperienza all’interno del Progetto di Svolta Donna
In questo paragrafo vorrei descrivere l’esperienza fatta all’interno del Progetto Svolta Donna nell’Asl di Pinerolo (TO). Durante il periodo di tirocinio per il terzo anno di scuola di specializzazione in psicoterapia SAIGA, ho potuto seguire alcuni aspetti di questo progetto di intervento contro la violenza sulle donne, proposto ed organizzato all’interno del Servizio Sanitario.
In un primo momento, ho partecipato alla formazione di alcune giornate per gli operatori, che prevedeva la partecipazione delle diverse figure che avrebbero collaborato al servizio: le operatrice telefoniche volontarie, l’avvocato, il medico legale, le psicologhe, le assistenti sociali.
La formazione aveva come obiettivo quello di chiarire i diversi aspetti del progetto, di permettere una migliore collaborazione tra gli operatori, di formare le operatrici telefoniche volontarie al compito di prima accoglienza del bisogno delle donne maltrattate.
Si prevedono le seguenti fasi di intervento.
Telefonando ad un numero attivo tutti i giorni, le donne possono parlare con le volontarie che, dopo essersi assicurate del livello di gravità del problema denunciato (in alcuni casi intervenendo con le opportune segnalazioni), danno loro informazioni su come comportarsi davanti ad una violenza: come denunciare, come cercare aiuto, a chi rivolgersi. Le volontarie possono poi fissare degli appuntamenti con i diversi professionisti, con alcuni di essi o con tutti: il medico, l’avvocato, la psicologa. Con un’attesa di pochissimi giorni, i professionisti riescono a ricevere le donne che e hanno fatto richiesta.
All’inizio, da parte degli operatori, c’era un forte dubbio sulla necessità reale di un servizio così complesso ed articolato che coinvolgesse Pinerolo, Val Chisone e Val Pellice, in quanto considerati “posti tranquilli” , dove questo fenomeno non appariva così sentito.
Si pensava che ad usufruire di questo servizio sarebbero state soprattutto donne straniere, che al loro Paese di origine magari subivano violenza e trasferendosi in Italia potevano avere l’aspettativa di migliorare non solo economicamente la loro vita, ma anche di non dover più subire situazioni famigliari difficili.
Al Servizio di Psicologia, in cui ho poi continuato ad operare, giungono diverse persone che richiedono una consulenza per questo grave problema, perché vivono una condizione con un partner che le maltratta. La media dei nuovi appuntamenti al solo Servizio di Psicologia ( si sottolinea che solo una parte delle donne viene inviata a questa consulenza) nella sola cittadina di Pinerolo e le Valli vicine è di due alla settimana.
Nel più del 90% dei casi le donne non sono donne straniere o non sono residenti nella cittadina (ci sono stati alcuni casi di donne fuggite dalla casa coniugale ed ospitate presso strutture parrocchiali del posto, in incognito dal marito o compagno).
Le utenti sono per lo più di donne italiane residenti nella zona che subiscono questa situazione da diverso tempo e che solo ora, in alcuni casi perché hanno saputo di questo progetto di aiuto sicuro e anonimo, richiedono una consulenza soprattutto da un punto di vista psicologico e legale.
In quasi tutti i casi sono state donne che non riportavano una violenza fisica nei giorni della chiamata al servizio, ma che avevano subito un’ennesima violenza nei mesi precedenti, dopo la quale avevamo maturato la decisione di chiedere aiuto. Solo in un caso mi è capitato di vedere una donna con una ferita molto recente sul braccio.
Questa utente aveva lasciato da poco la casa coniugale, dopo anni di violenza subita dal marito.
La donna aveva portato con sé i figli, di cui uno adolescente. In questo caso la ferita non gli derivava da un’aggressione subita dal marito, ma bensì dal figlio adolescente, che ad un suo richiamo aveva risposto strattonandola e spingendola.
In alcuni casi si trattava di una violenza fisica e/o accompagnata da una violenza sessuale, in pochi di una violenza psicologica (benché a mio avviso una violenza psicologica in senso lato esiste sempre nei casi di violenza fisica e sessuale). Alcune avevano già deciso di lasciare il compagno o lo avevano già fatto, altre richiedevano un aiuto per migliorare la loro situazione, capire “cosa sbagliano” per poter stare meglio con lui.
In generale la richiesta era proprio quella di poter cambiare la situazione, di non dover più subire.
Il tipo di intervento che può essere proposto in questo tipo di servizio è di alcuni colloqui di consulenza e di supporto, anche se spesso il bisogno delle donne sarebbe quello di un percorso psicoterapico. In alcuni casi si è effettuato un invio al Dipartimento di Salute Mentale competente per un percorso più approfondito.
Le dinamiche psicologiche della violenza agita e subita
Si approfondiscono in questo paragrafo alcuni concetti legati alle dinamiche psicologiche che possono intervenire nel caso di violenza alla donna all’interno di una relazione di coppia.
L’attenzione sarà rivolta sia su chi perpetra la violenza sia su chi la subisce, poiché entrano in gioco dinamiche della coppia vittima/persecutore che sono interrelate.
Adler fu il primo, tra gli psicologi del profondo, ad aver parlato di una pulsione, quella aggressiva, autonoma dalla libido che, invece, nella concezione freudiana era la madre di tutte le pulsioni, diretta a spinte autoaffermative e di difesa. La pulsione aggressiva viene da lui concepita come una forza dinamica di ordine superiore.
Egli elaborò inoltre il concetto di protesta virile, che indica il principio dinamico fondamentale che aiuta l’individuo a raggiungere una compensazione della mancanza di virilità. Mentre la pulsione aggressiva era fondata su una confluenza pulsionale, la protesta virile era basata su un sentimento soggettivo. Per Adler la mancanza di virilità equivale ad un sentimento d’inferiorità, poiché maschile e femminile indicavano metaforicamente la forza e la debolezza. “Il fenomeno si verifica sia nell’uomo che nella donna e risponde alla necessità di compensare un forte sentimento d’inferiorità, derivato da una situazione d’insicurezza e d’angoscia…
La ”protesta virile” rappresenta un artificio psichico generale del quale si serve un individuo per ottenere il massimo della sicurezza, per adeguarsi al suo ideale di personalità”
.2 Il cambiamento della teoria adleriana andò sempre più verso il concepire l’aggressività come un atteggiamento generale di lotta per la superiorità, non solo biologico ma cultural e psicologico dipendente. L’aggressività rappresenta l’aspetto anormale della lotta per la superiorità, che si verifica quando il sentimento sociale non è adeguatamente sviluppato.
Con l’evoluzione della sua teoria Adler sostituì progressivamente il concetto di protesta virile con quello di “volontà di potenza” e di “aspirazione alla superiorità”.
Adler in Prassi e Teoria della Psicologia Individuale (1924) scrive “Nel 1908 scoprii che in ogni individuo esiste uno stato di aggressività permanente e fui così imprudente da chiamare questo atteggiamento “pulsione aggressiva”. Presto però mi resi conto che non avevo a che fare con una pulsione, bensì con un atteggiamento in parte conscio e in parte irrazionale verso i compiti che impone la vita”. 3
Nella psicologia adleriana la vita dinamica dell’individuo è dominata da una legge di movimento che va dal minus al plus, da un sentimento di inferiorità a una lotta per la sua compensazione. L’aspirazione dell’individuo e più incentrata alla superiorità che al potere (che ne rappresenta solo uno degli aspetti). La superiorità dona all’individuo la sicurezza, quella di essere in una situazione di plus. Si può dire, inoltre, che l’inferiorità percepita da ogni essere umano, sin dai primi giorni di vita, considerata un fattore di insicurezza ed una limitatezza, in realtà si rivela un vero e proprio stimolo che lo spinge a cercare una soluzione, una via d’uscita che assicura l’adattamento alla vita.
Nel caso della violenza sulle donne, la presunta manifestazione di superiorità esibita dall’uomo è una percezione distorta della realtà, in cui l’odio e l’aggressività non possono essere contenute e mentalizzate, sfociando in un impulso ad agire.
Questa dinamica di inferiorità/superiorità può accompagnare la relazione di coppia, anche quando non siamo davanti al fenomeno della violenza.
Esiste una condizione in cui la donna diventa più bisognosa dell’aiuto dell’uomo e in un certo senso più fragile, questo avviene quando è in corso una gravidanza.
Dalla ricerca citata precedentemente (Istat 2007) si evidenzia che esiste purtroppo una concomitanza tra il momento in cui si presentano le violenze per la prima volta e la gravidanza della donna.
La gravidanza delle mogli potrebbe riattivare in alcuni uomini vissuti di rifiuto ed esclusione, quindi di inferiorità rispetto ad una superiorità detenuta in quel momento dalla donna. Secondo Ventimiglia (1994) 4 il fatto che al padre venga esclusa la possibilità della generatività lo pone in una condizione in cui il corpo della donne si frappone tra lui e il figlio, e la relazione con quest’ultimo è subito vissuta a base triadica. Ciò provoca l’invidia della generatività femminile che può manifestarsi attraverso sintomi psicologici, psicosomatici o comportamentali. Molte altre potrebbero essere le dinamiche psicologiche che vengono a crearsi in occasione della gravidanza della compagna e che possono mettere a prova l’equilibrio della coppia (ad esempio rivivere il complesso di edipo), ma se i vissuti di rifiuto dell’uomo non vengono compensati spostando l’interesse su altre mete o sublimandoli in attività sostitutive, questo potrebbe determinare agiti violenti .
In termini adleriani questi comportamenti sono caratterizzati e originati da un insufficiente sentimento sociale. Nel caso della violenza accanto ad uno scarso sentimento sociale si potrebbe essere di fronte ad un “sentimento dissociale”. Il sentimento dissociale si accompagna allo sviluppo di una volontà di potenza distruttiva che può manifestarsi attraverso comportamenti competitivi e violenti, intesi a rovesciare modelli vissuti come elementi di repressione.
Come scriveva Adler in “Il senso della Vita” (1933) : “ogni pulsione non soddisfatta orienterebbe l’aggressività dell’individuo verso l’ambiente”, quindi i caratteri violenti possono istruire su come una pulsione aggressiva, continuamente insoddisfatta, possa stimolare le vie dell’aggressività maligna.
Quando gli impulsi non possono essere controllati avviene un acting out, questo è proprio quello che avviene quando la rabbia e gli impulsi aggressivi vengono esercitati con la violenza fisica.
L’acting-out o passaggio all’atto, presuppone che il soggetto non abbia un controllo attivo sulle proprie pulsioni.
Il bambino, in età preverbale, quando non ha a disposizione la capacità di simbolizzare, che deriva dall’uso del linguaggio, agisce un desiderio specifico senza tener conto dell’esistenza dell’altro e dell’ambiente. La capacità di entrare in relazione con l’altro presuppone il riconoscimento e l’accettazione degli interessi personali dell’altra persona.
Per colui che effettua l’acting out, al contrario il partner è privo d’individualità, è un oggetto complementare a se stesso che deve essere ottenuto per mantenere l’illusione dell’onnipotenza narcisistica.
Colui che agisce l’aggressività è portatore di una struttura narcisistica con scarse capacità di sublimazione e spostamento delle pulsioni sessuo/aggressive.
Entrando nel merito della psicologia della vittima, colui che subisce può essere pervaso da un profondo senso di colpa inconscio e da un vissuto di inadeguatezza che lo spinge a collezionare umiliazioni e sofferenze a prezzo di angoscia intollerabile.
Il senso di colpa, secondo la visione adleriana può essere definito come “una situazione di sofferenza interiore, di disagio, di autodifferenziazione negativa che prende corpo quando l’individuo ha violato, o ritiene di aver violato, o ritiene di aver violato un impegno morale.”
“ I contenuti colpevolizzanti potrebbero derivare direttamente da schemi etici del proprio gruppo di appartenenza in cui l’individuo è inserito o di quei settori della società con cui è più frequentemente in contatto”. 5
La permanenza in una relazione violenta potrebbe essere una manifestazione sintomatica.
Quando una donna viene maltrattata, ciò che risulta evidente è che la ferita fisica viene rimarginata, ma e per la donna è un’esigenza che anche quella psichica si rimargini. L’essere umano cerca di riparare la ferita psichica, attraverso il tentativo di modificare retroattivamente il corso degli eventi. Qualche volta può capitare che si tenda a rimettersi in situazioni simili, da un punto di vista affettivo, con la situazione che è risultata essere traumatica.
Questo meccanismo può avere inoltre lo scopo di far cambiare posizione alla persona, cioè da una posizione passiva, di vittima, di chi subisce l’evento, a una posizione attiva, di chi può controllare l’evento e padroneggiarlo.
Questi aspetti ci richiedono di riflettere anche sul ruolo della vittima della violenza e a chiederci perché troppo spesso le donne si fanno carico dell’aggressività dei loro partner. All’interno della coppia si possono strutturare i ruoli del persecutore e della vittima, che si possono alternare e contaminare in alcuni momenti.
Secondo Cavalloni (1987) ci possono essere diversi tipi di persecutore e di vittima.
Il persecutore suo malgrado è colui a cui la cattiveria è stata attribuita come qualità imposta, ma che con difficoltà accetta il peso di questa attribuzione, non riconoscendosi. In questo caso si può aiutare la persona a riflettere sulle proprie azioni e magari ottenere un cambiamento.
Il persecutore con senso di colpa vede quei soggetti che come per un compenso passano dal ruolo di vittima a quello di persecutore. Le persone verso cui questo persecutore si rivolta sono spesso delle persone da lui amate, con cui entra in competizione. Può capitare, per questo tipo di persone, che si presenti un complesso di colpa basato sull’identificazione con la vittima scelta da parte di chi un tempo è stato a sua volta vittima. Questo tipo di persecutore da un lato non vuole rinunciare al prestigio che ha finalmente trovato anche se sente questo prestigio come perverso.
Tra le vittime invece si possono trovare delle vittime con rassegnazione e depressione. Questa modalità prende corpo negli individui come ultima compensazione, quando l’ambiente di origine non offre possibilità di rovesciamenti e neppure di abili scorciatoie, e quindi la persona è portata a pensare che la situazione non cambierà e che l’unica soluzione è accettarla.
Le vittime con speranza di revisione fanno parte di quel contesto in cui la prospettiva è quella del passaggio dal ruolo di vittima a quello di persecutore, ma che non insorgono precocemente nell’ambiente famigliare di origine, ma insorgono assai più tardi in quello sociale.
Le vittime compiaciute, potrebbero essere assimilate a dei persecutori occulti. Essi non perdono occasione per attribuire agli altri il ruolo di persecutore e di vittima.
La definizione dei tipi di persecutore e vittima ci aiutano a comprendere la complessità dei fattori in gioco durante una situazione di violenza, e come probabilmente le tendenze omeostatiche interne alla vittima e al persecutore portanto al perpetuarsi di situazioni, anche drammatiche, per lungo tempo.
Il cambiamento dei ruoli maschili e femminili nella società: aspetti psicologici
La violenza sulle donne è un fenomeno che è sempre stato presente all’interno della storia, ma che i cambiamenti nella società, del ruolo femminile nel contesto lavorativo e della famiglia, ha fatto emergere in modo particolare. All’interno della famiglia, in tempi passati la figura dell’uomo capo famiglia, del padre, era sentita con tutto il peso della sua importanza e del rispetto che gli veniva attribuito.
Le donne, allora, accoglievano come legge le norme e i divieti derivanti dal padre, con una duplice conseguenza legata a questa modalità di atteggiamento. Da un lato perdendo rispetto al loro essere donna, in quanto relegate ad una funzione di procreatrice, d’altro canto però le donne acquistavano sul versante della non responsabilità e della protezione.
Il fatto di sposarsi e di diventare madri consentiva loro di arrivare ad una posizione sicura e protetta.
La violenza per lo più si concretizzava se la donna non assolveva a tali aspettative, vale a dire che poteva essere ripudiata se sterile o anche se non procreava figli maschi; il tradimento veniva punito
anche con l’uccisione della donna stessa.
Le rivoluzioni del ventesimo secolo legate al femminismo, con cambiamenti legislativi importanti come la legge sull’aborto, hanno portato la donna ad abbandonare questo luogo di protezione e ad entrare in tutti i settori della società.
In questa destabilizzazione di tradizioni e di costume l’uomo non ha parallelamente avviato una sua rivoluzione culturale, per cui, rimanendo rigido nel suo ruolo di marito e di padre ha visto vacillare la sua posizione.
Anche la donna però si trova nella difficoltà di darsi una identità, barcamenarsi all’interno di ruoli diversi (la casa, la famiglia ,il lavoro) e dunque in una situazione difficile da gestire.
Spesso proprio alla luce di queste difficoltà si innescano nella donna dei sensi di colpa che nascono da una fragilità non piena identificazione nei vari ruoli.
Come abbiamo visto precedentemente il senso di colpa può avere un ruolo importante e può essere una delle cause del silenzio rispetto alle violenze subite, come se queste fossero il giusto prezzo da pagare.
Potremo dire che all’interno della coppia e della famiglia è come se i vari componenti attualmente si trovassero provvisti dell’orientamento. Ci potrebbe essere una difficoltà a riconoscere cosa rappresenta l’essere uomo o donna, marito o moglie.
La donna che nella sua ricerca di darsi una identità nella società ha di fatto occupato degli spazi che precedentemente erano sempre e solo stati propri dell’uomo, e che quest’ultimo riconosceva come propri di diritto, proprio per la differenza tra l’uomo e la donna.
Sottraendo a quest’ultimo il suo prestigio e il suo potere, in generale può aver fatto scattare una forma di rancore e in qualche caso la donna può essere stata vissuta come una rivale.
Questa violenza esercitata sulla donna sarebbe dunque una violenza contro un rivale, abbattendo il quale si può ritrovare una posizione. Posizione questa che è stata perduta nella società dall’uomo, ma non ritrovata dalla donna, che continua a non riconoscersi pienamente nei diversi ruoli, che richiedono un impegno di tempo e responsabilità troppo oneroso per essere affrontati tutti con l’adeguato impegno.
Questa difficoltà a riconoscere i propri ruoli e quelli dell’altro, il proprio essere uomo e donna e la stessa funzione nel partner, può sicuramente avere in generale un ruolo importante nell’aumentare il conflitto all’interno della coppia e nell’impedire un autentico scambio.
Riconoscere l’Altro nelle sua diversità apre le porte ad una dialettica, ad uno scambio che si qualifica con manifestazioni di segni, di gesti non mai esaustivi ma continuamente creativi e rinnovabili che risultano essere il sale della convivenza. Questo permette di non sentirsi invaso non considerarlo più come una minaccia.
Queste riflessioni sono molto generali e non tengono conto di molte realtà specifiche a livello sociale, nonché di altri fattori nei cambiamenti della società che possono aver una forte importanza nel fenomeno della violenza sulle donne. L’obiettivo è quella di cercare alcune chiavi di lettura potenzialmente valide per il problema e per poter pensare a dei modi di affrontarlo.
Colloquio della signora F.
All’interno del progetto Svolta Donna giunge alla consultazione una signora di 50 anni, che è arrivata nel torinese da poco ed è in incognito, in fuga da Napoli dove ha vissuto con il marito per 30 anni, marito con il quale ha un rapporto dall’età di 15 anni.
Effettua presso il servizio alcuni colloqui dei quali io ho la funzione di osservatore, mentre il conduttore è la psicologa responsabile dello sportello. In questo contesto ho modo di trascrivere interamente il primo colloquio.
Ci racconta che il marito la picchiava quando erano fidanzati e i primi anni di matrimonio. Poi lei ha detto che ad un certo punto gli ha imposto che se l’avesse ancora colpita l’avrebbe lasciato. Così infatti è stato. Per 30 anni lui non l’aveva colpita se non in casi di litigio molto acceso. Quando l’ha fatto alcuni mesi fa lei è andata via di casa.
Il marito, che secondo i famigliari non aveva mai avuto apparenti problematiche psichiche, ha tentato il suicidio. E’ stato ricoverato ed inoltre si è lesionato la mano (tanto da dover essere operato) dando dei pugni contro il muro. Lei però è scappata e dice di non voler più tornare dal marito.
Lui la chiama molto spesso implorandola di tornare a casa da lui, dicendo di essere cambiato. Ci dice che lui fa leva sul suo sentimento materno e chiede da parte della moglie cure e vicinanza in questo periodo di ricovero in ospedale e di operazioni.
Dopo un periodo di rifugio presso una struttura di Pinerolo sta progettando ora di andare a vivere nella città della figlia.
Ci dice che l’ultima settimana è stata un po’difficile perché il marito le ha telefonato più e più volte, dicendole che vuole che tornino insieme e che vuole che lei investa un po’ in questo, che lui è
deciso, che vuole cambiare e ricominciare. Lei gli dice che non può come una bacchetta magica fare rinascere l’amore dove questo amore non esiste più. Lui si dimostra sicuro.
Lei ci dice di non potergli dire che tra loro è finita, perché teme che lui si faccia del male.
Ci dice di provare per lui un amore materno, di volere il suo bene come se fosse suo figlio, di volere che lui non soffra, che lui stia bene e niente di più. La signora ci dice che ha ancora molta paura di suo marito. Adesso che si trasferirà a Latina teme di vedere i suoi nipoti (si impone di non vederli) per paura che si lascino scappare con il nonno qualcosa, ma addirittura non si fida nemmeno di suo genero, che secondo lui è allineato con le posizioni del marito e che quindi non saprà che lei si trasferisce a Latina.
Tra i suoi figli quello maschio, il più giovane, ha sempre avuto l’aspettativa che le cose si sistemassero e che tutto tornasse ad essere sereno. E’ molto arrabbiato per questa scelta della madre, perché secondo lui dopo la pensione del padre le cose sarebbero potute andare meglio. Lei non si fida di questo figlio, perché teme che prima o poi lui faccia gli interessi del padre.
Il marito le ha proposto di incontrarsi a mangiare una pizza in un luogo pubblico, ma lei non vuole. La psicologa le chiede come mai scarta l’opportunità di incontrare prima o poi il marito, anche in un luogo pubblico. Lei ci dice che ha paura. Ha molta paura di lui ha anche paura di sé stessa. Ha paura di non saper trattenere la sua rabbia, ed alcune volte ha provocato in modo pesante il marito ed attirato pesantemente la sua aggressività.
Ci racconta di sentirsi spesso ansiosa e impaurita, di non voler pensare al futuro.
Ci racconta della paura di partire, qui aveva trovato degli amici, si sentiva la sicuro. Là dovrà ricominciare una vita da capo, un lavoro che non le piace e che non ha mai fatto, si sente profondamente sola. Questo sentirsi sola l’ha accompagnata nel tempo, soprattutto quando le altre persone le chiedono come farà a stare senza nessun compagno, vista la sua età e il fatto che la solitudine aumenta. Lei ci racconta però che anche quando era spostata di sentiva sola. Inoltre nell’intimità le cose non sono mai andate bene, perché suo marito la costringeva ad avere rapporti con lui anche se lei non voleva, anche se piangeva. In questi casi si sentiva molto sola. Si sentiva molto sola anche quando in passato ha fatto dei tentativi di riavvicinamento con lui ma le loro vite erano molto lontane. Da sempre con suo marito si è sentita sola, da quando lui è entrato nella sua vita è entrata anche la solitudine . Si ricorda che si è sentita così anche la prima volta che è stata presentata a casa del futuro marito . In questa occasione si è sentita una aliena e ha poi continuato a sentirsi così sempre in quella famiglia. Nel suo paese (Napoli) la violenza sulle donne è, secondo lei, molto più diffusa e ritenuta meno grave che da noi.
Il caso di questa donna è un esempio di una possibile dinamica di relazione coniugale fortemente patologica, in cui la paziente è riuscita ad uscire dopo molto tempo, ma in cui è rimasta moltissimi anni, nella speranza che le cose si risolvessero, vivendo finzionalmente questo legame e portando avanti un progetto di famiglia salda e di legame coniugale duraturo.
Le dinamiche di inferiorità/superiorità e di vittima/persecutore sono rintracciabili nella storia di questa coppia, in un legame che è potuto continuare fino al mantenimento di quel equilibrio. Questo equilibrio è stato in primis preservato dalla signora F., che ha per anni vissuto nella speranza di un riavvicinamento tra lei e il marito, sebbene i suoi vissuti in questa relazione siano sempre stati di solitudine e di infelicità.
Colpisce come la donna, entrando a far parte di una famiglia (quella del marito) in cui fin dall’inizio si è sentita come “un’aliena” si sia posta in una condizione di accettazione di questo ruolo relazionale di vittima di violenza, fin dai tempi del fidanzamento. La signora F. ha però fissato al marito un limite, quello che, nonostante anni di violenza e di abusi, se l’avesse ancora colpita l’avrebbe lasciato.
Questo è avvenuto quando i figli erano cresciuti e lei era uscita dal ruolo di mamma a tempo pieno per entrare in quello di nonna, sentendo che con la scelta di andare via di casa non avrebbe messo in pericolo i figli, perché oramai già grandi e indipendenti.
Questa scelta è stata una scelta molto forte, che forse era stata maturata a livello ideale nel momento in cui ha posto quel limite al marito, ma che è stato possibile mettere in atto solo in un momento della vita in cui le sue condizioni psicologiche lo permettevano. Questo ha permesso alla signora F. di uscire finalmente dal suo ruolo di vittima, in cui però è entrato a pieno titolo il marito, attraverso il tentativo di suicidio, il ricovero in ospedale.
La scelta di scappare lontano è stata un tentativo di rimanere fedele alla scelta presa e di difendersi dalla paura nei confronti del marito, che è paura innanzitutto paura di sé stessa. Paura delle proprie reazioni, di non sapersi muovere in quella relazione in un modo diverso da quello che era stato in tanti anni di matrimonio.
Adesso la signor F. ha molta paura, ma non si sente più sola come quando era con il marito, riesce a fare dei progetti per la sua vita e per il suo futuro.
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